La diaspora ellenica in Italia fu molto attiva durante il periodo di grande effervescenza rivoluzionaria in Europa.
Durante la rivoluzione greca del 1821 dal porto di Livorno spesso partivano aiuti per gli insorti, inviati dai vari comitati filellenici dell’Europa.
In Italia, i nuovi assetti politici europei avevano spinto alcune comunità a riformare i propri statuti.
La prima a muoversi fu quella di Venezia, mentre quella di Napoli preferiva mantenere in vigore lo statuto del 1764.
Nel 1821 si stampa a Venezia il testo bilingue dello statuto della confraternita greca di Venezia: Regolamento economico, amministrativo e disciplinare della Nazione Greca ortodossa stabilita e domiciliata nell’inclita città di Venezia.
Secondo il nuovo statuto, i rappresentanti della nazione esercitano «le prerogative ed il dritto di promuovere e sostenere gl’interessi nazionali», presentandosi all’occorrenza «alle pubbliche autorità, per impetrare quelle providenze e quei suffragi che fossero necessarj ed indispensabili a favor della chiesa e della nazione»; la responsabilità delle spese veniva riservata «alla respettiva giurisdizione della consulta della nazione, per quelle variazioni, che di tempo in tempo fossero credute opportune e necessarie. Li fondi della nazione sono riservati ed impiegati non solo negli oggetti riguardanti immediatamente la chiesa ed il monastero, oltre alle naturali sue rendite, ma pure negli altri oggetti di beneficenza e di pubblica istruzione. Quindi…presupposta la sufficienza della cassa nazionale, si dovrà riattivare il collegio per l’istruzione e l’ammaestramento dei giovanni della nazione…Riattivato che sia il collegio, si verserà in seguito per rimettere anche l’ospitale1, onde ricevere e ricoverare nel medesimo li poveri infermi della nazione…Si studieranno egualmente dei mezzi per sostenere il monastero, unico asilo per la educazione delle donzelle della nostra nazione»; uno scrivano o quaderniere «riscuoterà tanto li diritti dai nazionali ritratti, quanto le offerte respettivamente assunte dai medesimi: le annuali Luminarie e la Tassa dei capitani, per dover consegnare di volta in volta le somme esatte alli deputati cassieri»;
Nel sodalizio di Venezia esisteva una cassa della ‘nazione’ dalla quale si attingeva per aiutare i poveri, maritare le ‘donzelle’, riscattare gli schiavi, coprire le spese gestionali della chiesa, affrontare le spese ordinarie e straordinarie per restauro dei fabbricati, le spese per la riattivazione e funzionamento del collegio greco Tommaso Flangini (istituito per decreto del senato veneto il 6 settembre 1664, le spese per la riattivazione e funzionamento dell’ospedale e le spese per gli stipendi del personale.
Con lo scoppio della rivoluzione ellenica ritornano nel Levante alcuni componenti della comunità ellenica di Napoli insieme a molti altri greci della diaspora in Italia, partendo dai porti di Genova, Livorno, Trieste, Ancona e Napoli.
Alla società segreta Φιλική Εταιρεία avevano aderito anche quattordici greci della diaspora in Italia: tre di Barletta, tre di Livorno, cinque di Napoli, due di Trieste e uno di Pisa.
Il governo di Napoli seguiva con grande interesse gli avvenimenti del Levante. Dal 1821 fino a metà 1823 al ministero degli Esteri erano succeduti il marchese di Circello, il principe Ruffo e il principe della Scaletta; dall’autunno del 1823 e per tutto il decennio il ministero era affidato a Luigi De’Medici.
I più grandi punti di osservazione della politica europea erano Londra, Parigi, Vienna e Pietroburgo; in queste capitali la corte di Napoli manteneva delle legazioni; Fabrizio Ruffo principe di Castelcicala dirigeva la legazione di Parigi, Guglielmo Costantino Ludolf quella di Londra, Antonio Statella principe di Cassero quella di Vienna e Giuseppe Costantino Ludolf quella di Pietroburgo. Paolo D’Ambrosio era, invece, il rappresentante diplomatico di Napoli a Costantinopoli.
La corte di Napoli osservava con apprensione il focolaio rivoluzionario della Grecia, perché temeva che i fuoriusciti napoletani potessero mettersi in contatto con i rivoluzionari greci per espandere successivamente la rivoluzione anche nel Regno delle Due Sicilie.
La presenza nel Levante di molti sudditi napoletani, tra quelli esiliati o fuoriusciti dopo il nonimestre, preoccupava molto il governo di Napoli; i servizi segreti di Napoli seguivano i movimenti in giro per l’Europa dei sudditi Cesare Rossaroll e famiglia, Vincenzo Pisa, Michele Cremesi, Giuseppe Isaia, Camillo e Gaetano Villani, Martuscelli, Serafino D’Auria, Giovanni Romey, Raffaele Poerio, Lorenzo De Conciliis, Giovanni Graziani, Nicola Imbimbo, Nicola Pionati, Crescenzo De Stasio, Luigi Galanti, Vincenzo Mortrilli, Riccardi, Ricciardelli, Rotondi, Mazza, Domenico Giannattasio, Francesco Romeo, Giovanni Russo, Carlo Cirillo e Carrascosa.
Giorgio Balsamo, console napoletano a Corfù, il 24 aprile 1821, informava il ministro degli esteri, marchese di Circello che il "Gran Signore ha chiamato a se il patriarca greco, a cui ha insinuato con tutti quelli mezzi che stanno in suo potere onde tranquillizzare lo spirito dei Greci, facendogli larghe promesse". Lo stesso console, il 18 agosto 1821, informava ancora che il generale napoletano fuoriuscito Cesare Rossarol "era giunto a Calamata in Morea per assistere li Greci".
A Napoli, il consiglio ordinario di Stato del 24 giugno 1822 discusse il caso sollevato dal rientro coatto del capitano Nicola Andruzzi, del tenente Nestore Andruzzi e del tenente Alessio Nacco, i quali «essendosi, mesi sono, trasferiti in Corfù, previa real licenza, quel governo non volle permettere loro di disbarcare; avendo però preciso bisogno di condursi colà dove hanno la loro famiglia ed i loro beni, implorano che si passino a tale effetto gli uffizi o al ministro inglese residente in Napoli o al governo di Corfù»; il consiglio dei ministri di Napoli appoggiò il loro rientro «giacché essi hanno le loro famiglie in Corfù e vi posseggono stabili, per cui sono considerati come sudditi Ionii» e il re sollecitò a tal fine l’intervento dell’ambasciatore inglese a Napoli7.
Il 1 luglio 1822 il ministro degli esteri principe Ruffo comunicava a tutte le delegazioni diplomatiche del regno che il governo rivoluzionario greco aveva deciso, a Corinto, con una risoluzione del 13/25 marzo 1822, di mettere in blocco tutte "le rive e i porti occupati dalle forze ottomane tanto nell’Epiro che nel Peloponneso, Eubea e Tessaglia, da Epidauro fino a Salonicco, come altresì tutt’i porti delle isole del Mar Egeo, Sporadi e Candia, comandati da’Turchi, inibendo a tutt’i navigli di qualunque nazione di entrarvi sotto pena di essere predati e giudicati secondo le loro leggi"; nel comunicare queste misure il ministro chiedeva ai regi Consoli di diffondere la notizia "ai regi sudditi per evitare i danni minacciati".
Il console napoletano in Alessandria d’Egitto, Riccardo Fantozzi, chiedeva, l’11 luglio 1822, l’invio nell’arcipelago greco di "qualche legno armato di S. M. per proteggere il commercio dei bastimenti nazionali nell’attuale lotta dei greci con i turchi ed affinchè possino essi approfittare di questa navigazione in oggi che la marina mercantile ottomana non può navigare".
Il governo del re di Napoli, in data 29 luglio 1822, deliberava di richiedere per mezzo de’suoi ministri alle Potenze Amiche di far proteggere "da loro legni da guerra i bastimenti di real bandiera, limitando però tale protezione a soli legni che han le carte in regola".
Intanto nel congresso di Verona del 22 luglio 1822, che confermava l’applicazione del principio dell’intervento degli alleati per salvaguardare i sovrani della Santa Alleanza dai rischi dei focolai insurrezionali e per reprimere le rivoluzioni scoppiate in diversi paesi (Spagna, Napoli e Piemonte), venne sottoscritto un trattato che nell’art.11 esprimeva ringraziamenti al papa per i suoi sforzi tesi a "liberare l’Italia da ogni principio non cattolico" e rilevava la necessità di rendere tutte le popolazioni italiane "ligie al dogma cattolico e rigidamente osservanti dei precetti della religione cattolica".
Tra gli agenti diplomatici di Napoli nell’arcipelago c’era qualcuno che appoggiava le istanze rivoluzionarie dei greci, come risulta da un rapporto del vice console a Smirne, del 16 agosto 1822 che sospettava "il vice console in Atene, Vitalis, d’aderenza al partito greco". Lo stesso vice console il 30 ottobre 1822 informava che "in Morea erano al servizio de’Greci alcuni sudditi napoletani fuoriusciti che in passato erano stati ufficiali di cavalleria".
Gli insorti greci si procuravano intanto armi e munizioni dall’estero; il governo di Malta aveva scoperto che i greci facevano queste spedizioni apparentemente per le isole Ionie e per la Sicilia per eludere le misure restrittive e che in un secondo tempo cambiavano le spedizioni per spedire i carichi in Grecia. Il 13 febbraio 1823 il governo di Napoli decideva di proibire l’imbarco di generi di guerra nei porti di Sicilia "tutte le volte che sieno diretti per quelli della Grecia".
Ma l’Europa liberale e illuminata premeva per il riconoscimento diplomatico della Grecia insorta dopo secoli di schiavitù.
I greci della diaspora non rimanevano certo indifferenti alle buone notizie che arrivavano dal Levante. Anche la comunità ellenica di Napoli diede il suo apporto per la rigenerazione dell’Ellenismo; molti greci di Napoli, tra cui alcuni veterani dei reggimenti borbonici, rientrarono nei loro paesi d’origine per sostenere la lotta per la libertà; rientri ci furono fin dai primi mesi della sollevazione e appena giunse in Europa la notizia della rivoluzione greca.
Il 25 agosto 1823, il governo di Napoli, presieduto dal primo ministro De’Medici, avendo saputo che "una nave mercantile battente bandiera del regno era stata depredata nella rada di Missolonghi decideva di soprassedere, visto che il blocco posto dagli insorgenti greci ai porti e coste del dominio ottomano, tacitamente riconosciuto da tutte le potenze, preclude la strada a qualunque officio, molto più che il capitan Minutillo di Molfetta, non ignorando le temibili conseguenze, vi si sottopose col tentare di eluderlo".
Il 31 dicembre 1823 il regio governo di Napoli decideva comunque "d’inculcare a tutti gli agenti consolari nell’arcipelago di non riconoscere altra autorità che quella della Porta e di non eseguire alcuna imposizione di dazio volontariamente del governo greco, trattandosi di un governo intruso e rivoluzionario, ma quando vi fossero costretti dalla forza".
Contemporaneamente il governo di Napoli non trascurava di seguire i movimenti sospetti dei suoi sudditi nel Levante e soprattuto nelle Isole Ionie; il 3 maggio 1824, il primo ministro De’Medici, considerando che "la vicinanza delle isole Ionie alle coste del regno, soprattutto nell’Adriatico e l’essere quelle Isole il ricovero di tutti gli espatriati Napolitani e Siciliani, incaricava il regio Console a Corfù di prendere contatti con il nuovo Lord Alto Commissario, il maggior generale Sir Frederick Adam onde tali espatriati sieno meno considerati e se fosse possibile allontanati da colà o almeno mandati in Zante, isola più distante dal regno".
De’Medici incaricava altresì i consoli napoletani nell’arcipelago "di informare gli armatori dei mercantili di non compromettersi prendendo carichi sospetti, visto che il Senato d’Ipsarà aveva espresso lagnanze per infrazioni della neutralità praticate da’bastimenti europei e che lo stesso Senato minacciava che, durante l’imminente campagna del pascià d’Egitto contro i Greci, i rivoluzionari greci useranno il diritto della guerra contro i legni europei carichi di materiali di guerra al servizio del pascià".
Il governo di Napoli manteneva una posizione neutrale riguardo alla questione dei greci, in attesa di vedere gli sviluppi diplomatici delle iniziative messe in atto da tempo dalle Potenze Alleate. Il 28 febbraio 1826 il Consiglio Ordinario di Stato per salvaguardare questa neutralità non approvava la costruzione di una fregata di guerra per il viceré d’Egitto.
Il console napoletano a Corfù, Giorgio Balsamo, informava, il 7 febbraio 1827, il ministero degli esteri che in Costantinopoli "li ministri di Francia, Inghilterra e Russia hanno avuto l’ordine del loro governo di aprire delle trattative colla Porta relativamente alli Greci e che l’Internunzio Apostolico abbia avuto ultimamente l’ordine d’entrare anche egli in queste trattative". Sempre Balsamo inviava da Zante il 2 agosto 1827 una copia della Gazzetta Ionia che pubblicava il "trattato conchiuso il 6 luglio in Londra relativamente al destino dei Greci, citando il New Times del 12 luglio". Il 16 agosto 1827 gli ambasciatori stranieri presentavano il trattato del 6 luglio alla Sublime Porta dando un mese di tempo per la risposta.
La battaglia di Navarino propiziava nuovi riconoscimenti diplomatici per la Grecia insorta. Ma il governo di Napoli preferiva mantenere ancora una posizione attendista, come risulta da una lettera del primo ministro De’Medici all’ambasciatore napoletano a Londra Ludolf, datata 20 dicembre 1827:
L’affare principale che nel momento debbe servir di termometro alla politica si è quello delle conseguenze del fatto di Navarino… Quanto a noi, particolarmente, l’unica nostra cura dovrà essere quella di conservare in ogni caso la più stretta neutralità, senza prendere nessuna parte nelle vertenze e nelle discussioni della Porta colle Grandi Potenze. Non v’ha dubbio che qualche sussurrio siasi elevato tra i liberali per i fatti d’Oriente… Vi si osserva la stessa gioja fra essi per le convulsioni che suppongono dover seguire il fatto di Navarino e la stessa lusinga che, in mezzo ad una conflagrazione generale, si possa aprir loro una via da realizzare le chimere presso le quali corrono. Vostra Eccellenza ha fatto cenno nell’ultima sua de’20 Novembre della idea di aversi qualche segreta comunicazione colle Autorità Greche, ora soprattutto che il Conte Capodistria sarà alla loro testa, col solo oggetto, anche interessandovi gli Alleati, che i greci possibilmente rispettino le coste del regno vicine alla Grecia e non tentino d’inquetarle, sia con spedizioni predatorie sia cooperando con i rivoluzionari esteri al loro servizio, se avessero qualche sinistro progetto… Nella zona dei principii, di cui il governo è secondo le massime del potere assoluto, una qualunque tendenza ad apertura di comunicazioni, siano dirette siano indirette, comme Autorità Greche attuali, darebbe luogo a sospetti ed a diffidenze sul nostro conto. Per questa considerazione Sua Maestà, nell’atto che nessuna ostilità userà verso i greci, non farà, d’altronde, qualsiasi passo per istabilire co’capi del loro governo una corrispondenza qualunque, sino a che la loro causa non sia definitivamente decisa, in un modo o nell’altro, dalla intervenzione delle Grandi Potenze. Sino a quel punto una stretta neutralità è la sola che convenga alla nostra posizione, senza entrare in altr’impicci, profittando, intanto, naturalmente de’vantaggi che potrà lo stato attuale delle cose offrire al nostro commercio.
Dal 1828 in poi molte sovvenzioni vengono elargite dalla confraternita per consentire il rimpatrio di numerosi nazionali, desiderosi di stabilirsi nel nuovo Stato [delibere 27 gennaio 1828, 13 aprile 1828, 13 maggio 1828, 24 ottobre 1830, 2 dicembre 1832].
Il 14 maggio 1828, Ch.Nikolaidis scrive questa lettera ai governatori e fratelli «della Chiesa ortodossa di Napoli»:
Αναχωρών δια την Ελλάδα την αγαπητή μας πατρίδα με την ελπίδα να την ωφελήσω και από πλησίον καθώς και μακρόθεν ενήργησα οπωσούν δια το καλόν της, στοχάζομαι περιττόν να σας διηγηθώ τί έκαμα δια την πατρίδα και τί ελπίζω να κάμω, επειδή ό, τι και αν κάμη τις είναι χρέος του.
Il 20 aprile 1829 i governatori chiedevano al generale comandante la Piazza di Napoli di «disporre che 18 granatieri, 1 caporale ed 1 sergente del Reggimento Principe assistessero nella chiesa da giovedì verso le ore 21 sino a domenica mattina, onde far gala, ed imporre il buon ordine» durante la settimana santa di Pasqua.