ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ

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Και στα Κελλιά με χρώματα άσπρα και ήλιο μεθούν

martedì 4 novembre 2025

Greci a metà, l'impronta profonda della comunità ellenica a Napoli di Marco Molino (https://www.corriere.it/bello-italia/25_novembre_04)

https://www.corriere.it/bello-italia/25_novembre_04/la-grecia-e-i-greci-a-napoli-un-impronta-profonda-tra-identita-e-cultura-a82b9656-257f-4571-9b87-9e97ba593xlk.shtml

Greci a metà, l'impronta profonda della comunità ellenica a Napoli

di Marco Molino


 





Il capoluogo partenopeo è sempre stato meta di migranti provenienti dalla penisola ellenica. Che alimentano ancora oggi una comunità vivace e ben integrata

 

(BdI n. 1.016) Quante speranze proiettate oltre l’orizzonte, tra mare e cielo, navigando verso una nuova casa dal futuro incerto. Nel Cinquecento molti cittadini greci approdarono sulle coste dell’Italia meridionale dopo aver attraversato quel Mediterraneo talvolta infido. Erano migranti in fuga dall’avanzata degli Ottomani, ma non erano disperati, come dimostrarono i tanti giunti proprio nella città fondata da altri greci, duemila anni prima, riuscendo presto ad integrarsi nel tessuto sociale e produttivo. A Napoli crearono la loro Confraternita e la chiesa degli apostoli Pietro e Paolo, realizzata nel 1518 non lontano dal porto, divenne un punto di riferimento religioso e culturale. Nel cuore della metropoli inclusiva, l’orgoglioso radicamento nelle tradizioni di questa comunità si è tramutato dunque in un valore aggiunto per tutta la collettività partenopea, un’osmosi che ha lasciato traccia nel corso dei secoli con le comuni battaglie ideali e identitarie, con l’esempio di coloro che hanno contribuito alla crescita artistica e intellettuale della capitale del Mezzogiorno pur mantenendo un forte legame con la madrepatria. Una memoria incisa nei luoghi e nelle opere della città, nella biografia dei personaggi più significativi – dal pittore rinascimentale Corenzio al gioielliere Bulgari – e nel notevole patrimonio di lettere, documenti e cimeli tutelato oggi dalla Comunità Ellenica di Napoli e Campania che promuove la cultura e la lingua greca proprio sulle sponde scelte dalla leggendaria sirena omerica. 

 

Dalla fuga precipitosa all’integrazione nel meridione d’Italia 

Questa storia mediterranea trae origine da un evento ben preciso: la caduta di Costantinopoli nel 1453 e l’occupazione ottomana dei Balcani e della penisola ellenica. A partire da quella data, cominciò l’esodo – e in molti casi la vera e propria fuga – dei greci verso l’Occidente cristiano. Una diaspora che nell’Italia meridionale avvenne però in modo ragionato. «I fuoriusciti furono suddivisi per categorie, indirizzando i contadini nell’entroterra, i militari e gli acculturati a Napoli, gli argentieri e gli orefici a Messina», ricorda Jannis Korinthios, già presidente della Federazione delle Comunità e Confraternite Elleniche in Italia e autore del saggio I greci di Napoli e del meridione d'Italia dal XV al XX secolo (AM&D Editore). «Quelli accasati nel capoluogo partenopeo – aggiunge Korinthios - avevano frequenti contatti con la Grecia occupata dai turchi e cercavano insistentemente di fomentare insurrezioni. Il coordinatore della rete spionistica antiturca degli spagnoli, era non a caso un greco cipriota di Napoli». Durante il regno borbonico ci furono diverse ondate migratorie dalla Grecia. Erano però arrivi programmati e addirittura favoriti dalle autorità allo scopo di popolare aree interne del Mezzogiorno. Una delle condizioni poste dai nuovi venuti – e generalmente accettata – fu quella di poter continuare ad usare il rito greco in chiesa, elemento fondamentale della propria identità culturale. Segnali di una riuscita integrazione che fu ribadita, nel 1739, con la costituzione del reggimento borbonico Real Macedone, ma messa in discussione dal cosiddetto filellenismo di inizio Ottocento. Allora risiedevano infatti a Napoli molti intellettuali greci impegnati politicamente per la rinascita della nazione ellenica. Personaggi guardati con sospetto dalle autorità borboniche che si riunivano nelle botteghe di caffè tenute in città dai loro connazionali – molto frequentate quelle di Demetrio alla Pignasecca del famoso Mettaxà nei Quartieri Spagnoli – e che hanno influenzato anche il nostro risorgimento. Una corposa testimonianza documentale di quel periodo è conservata presso l’Archivio di Stato con interessanti lettere vergate da rivoluzionari e spie, ma anche informative della polizia e atti legislativi del Regno delle Due Sicilie.  

 

La memoria condivisa tra archivi e strade senza nome 

Circa un secolo dopo, la comunità greca dovette fare i conti con il fascismo che mal sopportava l’orgoglio identitario dei cittadini di origine ellenica. L’ostracismo fu evidente già nel 1923, quando fu presa di mira la toponomastica. Mussolini ordinò infatti di cambiare nome alle numerose vie intitolate ai greci, compreso quella del centro storico partenopeo (che ha però recuperato la sua denominazione originaria nel 2015). Ben più gravi le conseguenze dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1940. Figli di un Paese nemico, i greci delle nostre terre vennero spediti quasi tutti al confino e privati dei loro beni. A Napoli si consumò anche il triste destino di una comunità nella comunità, quella dei greci di origine ebraicagiunti in tempi remoti da Salonicco Smirne. Prima furono espulsi per effetto delle leggi razziali e poi deportati da Atene e Salonicco, dove erano forzatamente tornati, fin nei campi di sterminio nazisti. Storie struggenti di vite spezzate, ma anche di resistenza e voglia di ricominciare che emergono dalle accorate corrispondenze o dai documenti ufficiali dell’epoca conservati nel fondo della famiglia Typaldos, donato all’Archivio di Stato e dichiarato dalla Soprintendenza «di particolare interesse storico». 

Icone post-bizantine nella «casa» della comunità 

Nonostante le drammatiche vicissitudini, la religione ha sempre rappresentato il collante di una comunità comunque molto integrata nella dimensione partenopea. La prima diaspora cinquecentesca fu di circa ottomila persone giunte dal Peloponneso. Appena ne ebbero la possibilità, comprarono il terreno per costruire la chiesa greco ortodossa dei Santi Pietro e Paolo, a pochi passi da via Toledo, tutt’ora sede di partecipate funzioni officiate tra preziose icone post-bizantine. Recentemente una coppia di turisti ciprioti ha chiesto e ottenuto di celebrare in quest’atmosfera Levantina il proprio matrimonio, rinsaldando idealmente le storiche ramificazioni mediterranee della lingua e della cultura greca. «Già tra i lontani fondatori della confraternita partenopea vi furono dei ciprioti. Nel corso dei secoli non ci siamo mai sentiti un corpo estraneo perché Napoli ci ha sempre consentito di esprimere liberamente la nostra forte identità greca», ricorda Paul Kipryanou, console onorario della Repubblica di Cipro a Napoli ed ex presidente della comunità ellenica regionale. «Le reciproche influenze colturali non si sono mai interrotte e ormai da qualche anno esiste anche un collegamento aereo diretto tra Napoli e Pafos, a sud ovest dell’isola. Tanti turisti provenienti dalla Grecia e da Cipro vengono a seguire le funzioni della nostra chiesa e diversi giovani greci ciprioti scelgono di studiare a Napoli». 

Greci di successo a Napoli e una lingua «patrimonio dell’umanità»

Non è difficile seguire le tracce della cultura greca nella metropoli partenopea, a cominciare dall’arte. Una figura di rilievo all’interno della comunità originaria fu quella del pittore Belisario Corenzio giunto a Napoli nel 1570 all’età di circa dodici anni. La sua fama nel mondo artistico, testimoniata dalla presenza di sue grandi opere in numerose chiese del capoluogo e della Campania (tra le altre, la Certosa di San Martino, San Domenico Maggiore e la cattedrale di Salerno) crebbe di pari passo con i sospetti che i contemporanei nutrirono sempre nei suoi confronti, accusandolo addirittura di violenze e intimidazioni nei confronti dei colleghi. La sua tomba è ospitata nella chiesa dei Santi Severino e Sossio dove morì nel 1646, all’età di 88 anni, cadendo da un ponteggio. La creatività ellenica ha saputo farsi valere anche dal punto di vista produttivo e commerciale, come dimostrò l’argentiere e gioielliere greco Sotirio Bulgari che fuggì dall’Epiro sotto la pressione dei turchi e fece tappa a Napoli nel 1881, aprendo il suo primo negozio vicino piazza dei Martiri. Dopo tre anni, assunta la nazionalità italiana, decise di spostare le sue attività a Roma ottenendo quel successo che ancora oggi riscuote il marchio con il suo nome. Particolarmente intenso il legame con Napoli anche per il pittore e scultore greco naturalizzato italiano Jannis Kounellis, scomparso nel 2017. Una delle sue monumentali installazioni, il «Mulino in ferro», fu donata al Comune nel 1998 e da allora i venti di mare fanno ruotare le grandi pale a pochi metri di distanza dalla chiesa greco-ortodossa. E pure la moderna Comunità Ellenica di Napoli e Campania, guidata da Xenia Marinaki, continua ad essere molto attenta alla valorizzazione del proprio patrimonio storico, materiale e immateriale, rigenerando il concetto di identità con l’organizzazione di corsi di greco moderno per adulti e ragazzi e lezioni di danze tradizionali greche. Grazie all’iniziativa del professor Korithios, a Napoli è stata lanciata anche l’idea della Giornata Mondiale della Lingua Greca, celebrata il 9 febbraio con la partecipazione dei licei classici di tutta Italia, ma istituita formalmente anche dal governo ellenico. L’esecutivo dell’Unesco, infine, ha approvato la Giornata e l’ha sottoposta all’assemblea plenaria in programma a Samarcanda, suggellando un patrimonio dell’umanità dal sapore tutto mediterraneo.

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