"Veramente è cosa mirabile questa nazione greca, che per ispazio dintorno a ventiquattro secoli, senza alcuno intervallo, fu nella civiltà e nelle lettere, il più del tempo, sovrana e senza pari al mondo, non mai superata: conquistando, propagò l'una e l'altre nell'Asia e nell'Affrica; conquistata , le comunicò agli altri popoli dell' Europa. E in tredici secoli, le mantenne per lo più fiorite, sempre quasi incorrotte; per gli altri undici , le conservò essa sola nel mondo barbaro, o dimentico di ogni buona dottrina. Fu spettacolo nuovo, nel tempo delle Crociate, alle nazioni europee: gente polita, letterata, abitatrice di città romorose, ampie, splendide per templi, per piazze, per palagi magnifici, per opere egregie d' arti di ogni maniera; a genti rozze, senza sentore di lettere, abitatrici di torri, di ville, di montagne; quasi salvatiche e inumane. All'ultimo, già vicina a sottentrare ad un giogo barbaro, e perdere il nome, e, per dir così, la vita, parve che a modo di una fiamma, spegnendosi , gittasse una maggior luce: produsse ingegni nobilissimi, degni di molto migliori tempi; e caduta, fuggendo dalla sua rovina molti di essi a diverse parti, un' altra volta fu all' Europa, e però al mondo, maestra di civiltà e di lettere".
G. Leopardi, Discorso in proposito di una orazione greca di Giorgio Gemisto Pletone e volga-
rizzamento della medesima, in Tutte le opere di Giacomo Leopardi, a cura di F. Flora, Milano,
Mondadori, 197310, vol. ii pp. 187-88.
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