ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ

ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ
Και στα Κελλιά με χρώματα άσπρα και ήλιο μεθούν

mercoledì 4 settembre 2013

Το Εικοσιένα και η παροικία της Νάπολης

Απόκομμα από το βιβλίο που θα παρουσιαστεί στο ΙΤΗΠ, στις 11 Σεπτεμβρίου.

Jannis Korinthios, I greci di Napoli e del meridione d'Italia dal XV al XX secolo, AM&D Edizioni, Cagliari 2012, 294-300.



In questo periodo di grande effervescenza rivoluzionaria in Europa la diaspora avvertiva i presagi dell’imminente risorgimento.
Alla società segreta Φιλική Εταιρεία  avevano aderito quattordici greci della diaspora in Italia: tre di Barletta, tre di Livorno, cinque di Napoli, due di Trieste e uno di Pisa.
Nel decennio 1821-1830, dai porti italiani spesso partivano aiuti per gli insorti greci, inviati dai vari comitati filellenici; contemporaneamente decidevano di rimpatriare molti nazionali di Napoli insieme a molti altri greci della diaspora in Italia, partendo dai porti di Genova, Livorno, Trieste, Ancona e Napoli.
Il governo di Napoli seguiva con grande inquietudine gli avvenimenti del Levante. Dal 1821 fino a metà 1823 al ministero degli esteri erano succeduti il marchese di Circello, il principe Ruffo e il principe della Scaletta; dall’autunno del 1823 e per tutto il decennio il ministero era affidato a Luigi de’Medici.
I più grandi punti di osservazione della politica europea erano Londra, Parigi, Vienna e Pietroburgo; in queste capitali la corte di Napoli manteneva delle legazioni: Fabrizio Ruffo principe di Castelcicala dirigeva la legazione di Parigi, Guglielmo Costantino Ludolf quella di Londra, Antonio Statella principe di Cassero quella di Vienna e Giuseppe Costantino Ludolf quella di Pietroburgo. Paolo D’Ambrosio era, invece, il rappresentante diplomatico di Napoli a Costantinopoli. 
La corte di Napoli osservava con apprensione il focolaio rivoluzionario della Grecia, temendo che i fuoriusciti potessero mettersi in contatto con i rivoluzionari greci per espandere successivamente la rivoluzione anche nel regno delle Due Sicilie.
La presenza nel Levante di molti sudditi napoletani, esiliati o fuoriusciti dopo il nonimestre, preoccupava molto il governo borbonico; i servizi segreti di Napoli seguivano i movimenti in giro per l’Europa di Cesare Rossaroll, Vincenzo Pisa, Michele Cremesi, Giuseppe Isaia, Camillo e Gaetano Villani, Martuscelli, Serafino D’Auria, Giovanni Romey, Raffaele Poerio, Lorenzo De Conciliis, Giovanni Graziani, Nicola Imbimbo, Nicola Pionati, Crescenzo De Stasio, Luigi Galanti, Vincenzo Mortrilli, Riccardi, Ricciardelli, Rotondi, Mazza, Domenico Giannattasio, Francesco Romeo, Giovanni Russo, Carlo Cirillo e Carrascosa.
Giorgio Balsamo, console napoletano a Corfù, il 24 aprile 1821, metteva al corrente il ministro degli esteri, marchese di Circello, che il Gran Signore aveva convocato il patriarca greco, esortandolo con tutti i mezzi in suo potere e con larghe promesse a tranquillizzare lo spirito dei greci. Lo stesso console, il 18 agosto 1821, avvisava ancora che il generale fuoriuscito Cesare Rossarol era giunto a Calamata in Morea per sostenere gli insorti.
Il 1 luglio 1822 il ministro degli esteri, principe Ruffo, comunicava a tutte le delegazioni diplomatiche del regno che il governo rivoluzionario greco aveva deciso, a Corinto, con una risoluzione del 13/25 marzo 1822, di mettere in blocco tutte le rive e i porti occupati dalle forze ottomane tanto nell’Epiro che nel Peloponneso, Eubea e Tessaglia, da Epidauro fino a Salonicco, come altresì tutti i porti delle isole del Mar Egeo, Sporadi e Candia, comandati dai turchi, inibendo a tutti i navigli di qualunque nazione di entrarvi sotto pena di essere predati e giudicati secondo le loro leggi; nel comunicare queste misure il ministro chiedeva ai consoli di diffondere la notizia tra i regi sudditi per evitare i danni minacciati.
Il console napoletano in Alessandria d’Egitto, Riccardo Fantozzi, invocava, nel luglio del 1822, l’invio nell’arcipelago greco di qualche legno armato di S. M. per proteggere il commercio dei bastimenti nazionali nell’attuale lotta dei greci con i turchi, approfittando di questa navigazione in oggi che la marina mercantile ottomana non può navigare.
Il governo borbonico, in data 29 luglio 1822, deliberava di richiedere per mezzo dei suoi ministri alle potenze amiche di far proteggere da loro legni da guerra i bastimenti di real bandiera, limitando però tale protezione a soli legni che han le carte in regola.
Intanto il congresso di Verona, il 22 luglio 1822, confermava l’applicazione del principio dell’intervento degli alleati per salvaguardare i sovrani della Santa Alleanza dai rischi dei focolai insurrezionali e per reprimere le rivoluzioni scoppiate in diversi paesi, tra cui Spagna, Napoli e Piemonte; venne allora sottoscritto un trattato che al’art. 11 esprimeva ringraziamenti al papa per i suoi sforzi tesi a liberare l’Italia da ogni principio non cattolico e rilevava la necessità di rendere tutte le popolazioni italiane ligie al dogma cattolico e rigidamente osservanti dei precetti della religione cattolica.
Tra gli agenti diplomatici di Napoli nell’arcipelago c’era qualcuno che appoggiava le istanze rivoluzionarie dei greci, come risulta da un rapporto del vice console a Smirne, del 16 agosto 1822, che sospettava il vice console in Atene, Vitalis, d’aderenza al partito greco. Lo stesso vice console il 30 ottobre 1822 metteva al corrente che in Morea erano al servizio dei greci alcuni napoletani fuoriu- sciti che in passato erano stati ufficiali di cavalleria.
Gli insorti greci si procuravano frattanto armi e munizioni dall’estero; il governo di Malta aveva scoperto che i greci facevano delle spedizioni apparentemente per le isole Ionie e per la Sicilia per eludere le misure restrittive e che in un secondo tempo cambiavano le spedizioni per dirottare i carichi in Grecia. Il 13 febbraio 1823 il governo di Napoli decideva di proibire l’imbarco di generi di guerra nei porti di Sicilia tutte le volte che sieno diretti per quelli della Grecia.
Ma l’Europa liberale e illuminata premeva per il riconoscimento diplomatico della Grecia insorta dopo secoli di schiavitù. I greci della diaspora non rima- nevano certo indifferenti alle buone notizie che arrivavano dal Levante.
Anche la comunità nazionale di Napoli diede il suo apporto per la rigenerazione dell’Ellenismo; molti greci di Napoli, tra cui alcuni veterani dei reggimenti borbonici, rientrarono nei loro paesi d’origine per sostenere la lotta per la libertà; molti rientri ci furono fin dai primi mesi della sollevazione e appena giunse in Europa la notizia della rivoluzione greca.
A Napoli, il consiglio ordinario di Stato del 24 giugno 1822 discusse il caso sollevato dal rientro coatto del capitano Nicola Andruzzi, del tenente Nestore Andruzzi e del tenente Alessio Nacco, i quali essendosi, mesi sono, trasferiti in Corfù, previa real licenza, quel governo non volle permettere loro di disbarcare; avendo però preciso bisogno di condursi colà dove hanno la loro famiglia ed i loro beni, implorano che si passino a tale effetto gli uffizi o al ministro inglese residente in Napoli o al governo di Corfù; il consiglio dei ministri di Napoli acconsentiva al loro rimpatrio giacché essi avevano le loro famiglie in Corfù e vi possedevono stabili, per cui erano considerati come sudditi Ionii e il sovrano chiese all’ambasciatore inglese a Napoli di intervenire. 
Il 25 agosto 1823, il governo borbonico, presieduto dal primo ministro De’Medici, avendo saputo che una nave mercantile battente bandiera del regno era stata depredata nella rada di Missolonghi decideva di soprassedere, visto che il blocco posto dagli insorgenti greci ai porti e coste del dominio ottomano, tacitamente riconosciuto da tutte le potenze, precludeva la strada a qualunque officio, mol- to più che il capitan Minutillo di Molfetta, non ignorando le temibili conseguenze, vi si sottopose col tentare di eluderlo.
Lo stesso regio governo, il 31 dicembre 1823, decideva comunque d’inculcare a tutti gli agenti consolari nell’arcipelago di non riconoscere altra autorità che quella della Porta e di non eseguire alcuna imposizione di dazio volontariamente del governo greco, trattandosi di un governo intruso e rivoluzionario, ma quando vi fossero costretti dalla forza.
Contemporaneamente non si trascurava di seguire nel Levante i movimenti e le azioni dei napoletani fuoriusciti; il 3 maggio 1824, il primo ministro De’Medici, considerando la vicinanza delle isole Ionie alle coste del regno, soprattutto nell’Adriatico e l’essere quelle Isole il ricovero di tutti gli espatriati Napolitani e Siciliani, incaricava il regio console a Corfù di prendere contatti con il nuovo Lord Alto Commissario, il maggior generale Sir Frederick Adam, onde tali espatriati sieno meno considerati e se fosse possibile allontanati da colà o almeno mandati in Zante, isola più distante dal regno.
De’Medici incaricava altresì i consoli napoletani nell’arcipelago di informare gli armatori dei mercantili di non compromettersi prendendo carichi sospetti, visto che il senato d’Ipsarà aveva espresso lagnanze per infrazioni della neutralità praticate da’bastimenti europei e che lo stesso senato minacciava che, durante l’imminente campagna del pascià d’Egitto contro i Greci, i rivoluzionari greci avrebbero usato il diritto della guerra contro i legni europei carichi di materiali di guerra al servizio del pascià.
Il governo di Napoli manteneva comunque una posizione neutrale riguardo alla questione dei greci, in attesa di vedere gli sviluppi diplomatici delle iniziative messe in atto da tempo dalle potenze alleate. Il 28 febbraio 1826 il consiglio ordinario di Stato per salvaguardare questa neutralità non approvava la costruzione di una fregata di guerra per il viceré d’Egitto.
Il 7 agosto e l’8 ottobre 1826 il ministero degli affari ecclesiastici interveniva per respingere energicamente le nuove ingerenze della curia che tentava di vietare al cappellano dell’ambasciata russa e ad un vescovo russo, sostenuto dall’ambasciatore russo in persona, di officiare nella chiesa greca, in quanto scismatici.
Importante notare che nel 1827 troviamo tra gli stipendiati della confrater- nita tre preti, un medico e diversi avvocati che seguivano le pratiche legali del sodalizio.
Il console napoletano a Corfù, Giorgio Balsamo, informava, il 7 febbraio 1827, il ministero degli esteri che a Costantinopoli i ministri di Francia, Inghilterra e Russia erano stati incaricati di aprire delle trattative con la Porta relativamente alli Greci e che l’internunzio apostolico aveva avuto ugualmente l’ordine di partecipare a queste trattative. Sempre Balsamo inviava da Zante il 2 agosto 1827 una copia della Gazzetta Ionia contenente il trattato siglato il 6 luglio in Londra relativamente al destino dei greci, citando il New Times del 12 luglio. Il 16 agosto 1827, gli ambasciatori stranieri presentavano il testo del trattato del 6 luglio alla Sublime Porta dando un mese di tempo per la risposta.
Il 12 ottobre 1827 il parroco della chiesa riceveva la seguente circolare municipale sulla registrazione degli atti:
«Ad allontanare gli equivoci e le erronee interpretazioni, Ella o il di Lei coadjutore, avrà la compiacenza di segnare in lettere, e non già in cifre numeriche nei cartellini di nascite, negli estratti delle solenni promesse di matrimonio, il giorno, il mese e l’anno in cui è seguito il Santo battesimo o la celebrazione del matrimonio». 

La battaglia di Navarino propiziava nuovi riconoscimenti diplomatici per la Grecia insorta. Ma il governo di Napoli preferiva mantenere ancora una posizione attendista, come risulta da una lettera del primo ministro De’Medici all’ambasciatore napoletano a Londra Ludolf, datata 20 dicembre 1827:
«L’affare principale che nel momento debbe servir di termometro alla politica si è quello delle conseguenze del fatto di Navarino. Quanto a noi, particolarmente, l’unica nostra cura dovrà essere quella di conservare in ogni caso la più stretta neutralità, senza prendere nessuna parte nelle vertenze e nelle discussioni della Porta colle Grandi Potenze. Non v’ ha dubbio che qualche sussurrio siasi elevato tra i liberali per i fatti d’Oriente. Vi si osserva la stessa gioja fra essi per le convulsioni che suppongono dover seguire il fatto di Navarino e la stessa lusinga che, in mezzo ad una conflagrazione generale, si possa aprir loro una via da realizzare le chimere presso le quali corrono. Vostra Eccellenza ha fatto cenno nell’ultima sua de’20 Novembre della idea di aversi qualche segreta comunicazione colle Autorità Greche, ora soprattutto che il Conte Capodistria sarà alla loro testa, col solo oggetto, anche interessandovi gli Alleati, che i greci possibilmente rispettino le coste del regno vicine alla Grecia e non tentino d’inquetarle, sia con spedizioni predatorie sia cooperando con i rivoluzionari esteri al loro servizio, se avessero qualche sinistro progetto. Nella zona dei principii, di cui il governo è secondo le massime del potere assoluto, una qualunque tendenza ad apertura di comunicazioni, siano dirette siano indirette, colle Autorità Greche attuali, darebbe luogo a sospetti ed a diffidenze sul nostro conto. Per questa considerazione Sua Maestà, nell’atto che nessuna ostilità userà verso i greci, non farà, d’altronde, qualsiasi passo per istabilire co’capi del loro governo una corrispondenza qualunque, sino a che la loro causa non sia definitivamente decisa, in un modo o nell’altro, dalla intervenzione delle Grandi Potenze. Sino a quel punto una stretta neutralità è la sola che convenga alla nostra posizione, senza entrare in altr’impicci, profittando, intanto, naturalmente de’vantaggi che potrà lo stato attuale delle cose offrire al nostro commercio».
Dal 1828 in poi molte sovvenzioni vennero elargite dalla confraternita per consentire il rimpatrio di numerosi nazionali, desiderosi di stabilirsi nel nuovo Stato.
Il 14 maggio 1828, Ch. Nikolaidis scriveva questa lettera ai governatori e fratelli della Chiesa ortodossa di Napoli: 

Αναχωρών δια την αγαπητήν μας πατρίδα με την ελπίδα να την ωφελήσω και από πλησίον, καθώς και μακρόθεν ενήργησα οπωσούν δια το καλόν της, στοχάζομαι περιττόν να σας διηγηθώ τί έκαμα δια την πατρίδα, και τί ελπίζω να κάμω, επειδή ό, τι και αν κάμη τις δια την πατρίδα είναι χρέος του· αρκούμαι μόνον να σας φανερώσω την δι' εμέ καλήν απόφασιν να καταβώ είς την Ελλάδα.

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