Recentemente gli scienziati hanno individuato nel DNA di alcune persone
un certo quoziente di dopamina, la quale, interagendo con i neuroni, indurebbe
l’uomo all’avventura. E lo hanno chiamato fattore Ulisse.
Anche gli epigoni di Ulisse bramavano la conoscenza e le nuove esperienze
che solo il viaggio e la mobilità potevano assicurare; gli Ulissidi affascinati
dall’ignoto spesso infatti intraprendevano avventurose esplorazioni.
Anche i greci della diaspora storica erano novelli Ulissidi.
La diaspora storica possedeva molteplici connotati. La diaspora fu non solo
disseminazione, accoglienza e integrazione, ma anche dispersione; e questa dispersione fu spesso frutto della lingua recisa e della mancanza di contatti con la
madrepatria e con le altre comunità diasporiche.
La fuga dai propri paesi causava ovviamente grande sofferenza per la perdita
del focolare e dei beni. Diaspora significava infatti anche consapevolezza e percezione dolorosa di una inesorabile estraneità ovunque, perché i greci si sentivano
provvisori nei nuovi luoghi di accoglienza e più o meno forestieri nei paesi dove
avevano ottenuto temporaneo asilo.
L’esodo dei greci durante l’occupazione ottomana ebbe altre due caratteristiche peculiari: esso fu da una parte un flusso migratorio elitario, composto prevalentemente da singole personalità o da intellettuali che si dirigevano verso l’accogliente Europa e, dall’altra, una migrazione organizzata di masse consistenti tra
le sponde del Mediterraneo.
Le popolazioni evacuate seguivano chiaramente itinerari precisi, sulla base di
concessioni d’asilo ottenute in precedenza.
La diaspora intellettuale, essendo più dinamica e motivata, era soggetta a
spostamenti, mentre quella di massa assumeva contorni stanziali: i dotti non accusavano problemi di adattamento e integrazione, mentre le masse preferivano mantenere la loro coesione e compattezza nell’ambito di nuclei e sodalizi nazionali più o meno chiusi.
Questi flussi migratori venivano sollecitati soprattutto per iniziativa dell’ellenismo più dinamico, vero disseminatore e irradiatore della cultura e della lingua ellenica nel mondo.
I gruppi diasporici che si stabilivano in città e paesi diversi si organizzavano
in sodalizi e fratrie nazionali; essi godevano di numerosi privilegi e costruivano
chiese, convitti, scuole e ospedali. Il culto costituiva non solo una mera pratica
religiosa ma soprattutto un’occasione per socializzare e ribadire la coesione di
ogni singolo gruppo diasporico nei paesi d’accoglienza.
Le comunità della diaspora sorte in Europa, a partire dal XIV sec. d. C.,
come conseguenza dell’espansionismo ottomano, erano le nuove piccole patrie
dei fuoriusciti politici e delle popolazioni sfollate.
L’esodo, l’esilio e la diaspora hanno segnato il destino dei greci sradicati dai
loro paesi d’origine. La madrepatria che gemeva sotto il giogo straniero rimaneva viva solo nel ricordo e nella parola intrisa di nostalgia dei fuoriusciti.
Le comunità costituivano pertanto gli unici nuclei liberi dell’ellenismo, vere
e proprie entità amministrative autocefale della diaspora; esse erano punti di riferimento costanti per tutti i greci, per i dotti, per l’aristocrazia, per le nuove classi emergenti, per il clero, per i militari e per le masse degli sfollati.
Jannis Korinthios, I greci di Napoli e del meridione d'Italia dal XV al XX secolo, AM&D Edizioni, Cagliari 2012, pp. 11-12.
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