ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ

ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ
Και στα Κελλιά με χρώματα άσπρα και ήλιο μεθούν

lunedì 10 giugno 2019

Θάλαττα, θάλαττα...Voci sul mare




ΘΑΛΑΤΤΑ ΘΑΛΑΤΤΑ


Il mare ci regala soprattutto il viaggio che agisce come una forza che muta il corso della vita di ciascuno, influenza e trasforma le mentalità e i rapporti umani, modifica l’identità personale.
Tutti i popoli mediterranei e soprattutto gli isolani amano il mare e sono attratti dal viaggio, in cerca di nuovi stimoli, più ampi orizzonti e nuovi approdi.
L’io cambia viaggiando.
Il viaggio produce saggezza, esperienza e conoscenza.

Itaca / Constantino Kavafis

Quando ti metterai in viaggio per Itaca 
devi augurarti che la strada sia lunga, 
fertile in avventure e in esperienze. 

Il mare nostro è stato l’anima delle civiltà mediterranee e fonte primaria del nuovo nel corso dei millenni.
Il Mediterraneo è il mare che ha portato sempre qualcosa di nuovo nella civiltà dell’uomo.  
Questo mare ha diffuso saperi diversi e favorito le diaspore degli uomini, delle lingue e delle diverse culture.
Il Mediterraneo ha sviluppato le civiltà del mare.

Il mare ha un fascino molto forte.


Nella mia vita, alquanto raminga per circostanze varie, lontano da molti decenni dalla mia isola, TINOS, la mia isolanità emerge sempre, rendendo palese il legame viscerale con essa, con il meltemi che la rinfresca e con il mare increspato che la abbraccia.

Isole e mare:

Isole amare

Isole da amare

Isole a mare

Questa isolanità la percepisco in modo molto personale e intimo. Guardare il mare mi fa sentire meglio. E lo devo fare spesso.
Napoli me lo concede e per questo ci vivo volentieri.
Certo mi riconosco come figlio di  Tinos e del mio paesino dove sono nato.
Ho bisogno di ritornarci spesso. Spesso per brevi periodi.
Anche Ulisse in fondo è scappato subito dopo il suo ritorno.
La mia diaspora è iniziata 60 anni fa.
Io vivo tra due tensioni, l’apertura verso nuovi orizzonti e il fardello delle radici isolane.
Quando si parla di isole occorre distinguere  tra l’immagine che ha l’isolano nativo di sé e della sua isola e l’immagine che hanno delle isole gli altri, cioè coloro che da un altrove salpano verso quelli atolli circondati dalle acque del mare. 
Il mediterraneo è il mare di ieri ed oggi, punto di riferimento per tutti i paesi bagnati da questo mare nostro! 
Il Mediterraneo: tre grandi continenti e tre religioni millenarie che si fronteggiano. 
Mare di incontri, scontri, contaminazioni, mare di naviganti e di migranti. 
Assistiamo quotidianamente a queste rotte di navi e barconi con carichi di persone in fuga e in cerca di un futuro. 
Gente che fugge, salpa, approda, gente che accoglie o respinge.


Io nel mio contributo ho accennato all’epopea della diaspora dell’ellenismo moderno, per intenderci quella dopo il quindicesimo secolo.
Grecia e Italia sono indissolubilmente legate alla cultura del mare e hanno, grazie a questo mare, una storia comune antichissima. 




Il mare nostro, un mare che unisce e divide a volte. 
Un mare da salvare. 
Questo nostro mare è una risorsa da salvaguardare, un ambiente da tutelare. 
Un’ ecosistema in crisi, il  problema dell’inquinamento, etc.
Nel libro di Marco si parla di tutto questo e di molto altro.
Comunque un mare da difendere ed amare.
Ognuno di noi può fare qualcosa per difenderlo.
Ma questo mare ha favorito la più importante rotta di comunicazione di popoli e di civiltà. 
Il mare fa viaggiare persone, idee, valori, lingue, culture e saperi.
Il Mediterraneo è anche un’eredità comune, uno spazio condiviso.
Nel mio contributo ho accennato anche alla nostalgia dei Greci della diaspora. 
Essi preferivano stanziarsi vicino al mare proprio perché avevano sempre il desiderio e la speranza del ritorno, del nostos.
Come Ulisse “desideravano di scorgere sia pur solo il fumo che balzava dalla loro terra” (Odissea, 1, 58-59). 
Il mare è apertura di orizzonti, ma anche via di salvezza e la via del ritorno. 
“Θάλαττα θάλαττα” urlarono i soldati di Senofonte nell’ Anabasi di Ciro quando scorsero nel 401 a.C. l’Ellesponto dopo una marcia avventurosa di 12 mesi tra popoli nemici. Questi mercenari avevano preso parte nella grande spedizione di Ciro contro il fratello Artaserse per il trono dell’impero persiano. 
Essendo anch’io parte di una diaspora recente conosco lo sradicamento, la nostalgia, la “maladie du pays” come dicono i francesi. 
C’è un libro del 2013 molto interessante della docente francese Barbara Cassin: La nostalgia, quando uno è a casa sua? (2015 Ed. greca e italiana).
La Cassin affronta il rapporto tra madrepatria, migrazione e madrelingua.
La migrazione spesso ci impone di abbandonare la lingua madre per integrarci nella nuova patria con la lingua altrui.
Spesso il migrante perde la lingua madre e gli rimane solo la memoria delle radici tagliate. 
Quindi quando uno si sente a casa sua?
Quando viene accolto ed accettato con la propria cultura. 
In conclusione la Cassin afferma che il senso di appartenenza non ce lo dà il luogo di origine ma piuttosto la lingua madre.
La lingua identifica.
Nella propria lingua madre troviamo il modo per sentirci sempre a casa.

ΠΟΣΕΙΔΩΝΙΑΤΑΙ

Τὴν γλῶσσα τὴν ἑλληνικὴ οἱ Ποσειδωνιᾶται
ἐξέχασαν τόσους αἰῶνας ἀνακατευμένοι
μὲ Τυρρηνούς, καὶ μὲ Λατίνους, κι ἄλλους ξένους.
Τὸ μόνο ποὺ τοὺς ἔμενε προγονικὸ
ἦταν μιὰ ἑλληνικὴ γιορτή, μὲ τελετὲς ὡραῖες,
μὲ λύρες καὶ μὲ αὐλούς, μὲ ἀγῶνας καὶ στεφάνους.
Κ᾿ εἶχαν συνήθειο πρὸς τὸ τέλος τῆς γιορτῆς
τὰ παλαιά τους ἔθιμα νὰ διηγοῦνται,
καὶ τὰ ἑλληνικὰ ὀνόματα νὰ ξαναλένε,
ποὺ μόλις πιὰ τὰ καταλάμβαναν ὀλίγοι.
Καὶ πάντα μελαγχολικὰ τελείων᾿ ἡ γιορτή τους.
Γιατί θυμοῦνταν ποὺ κι αὐτοὶ ἦσαν Ἕλληνες –
Ἰταλιῶται ἕναν καιρὸ κι αὐτοί·
καὶ τώρα πῶς ἐξέπεσαν, πῶς ἔγιναν,
νὰ ζοῦν καὶ νὰ ὁμιλοῦν βαρβαρικὰ
βγαλμένοι – ὢ συμφορά! – ἀπ᾿ τὸν Ἑλληνισμό.

Κωνσταντίνος Π. Καβάφης

La lingua greca i Posidoniati
l' obliarono, mischiandosi per secoli
con i Tirreni, i Latini e altri stranieri.
Tutto ciò che rimase loro di ancestrale
era una festa greca, con cerimonie splendide,
con cetre e flauti, con corone e giochi.
Verso la fine della festa erano soliti
raccontarsi le antiche tradizioni, 
e ripetere quei nomi greci
che a stento ormai pochi capivano.
E la festa finiva sempre nella malinconia.
Perché si ricordavano che anche loro 
erano Greci - anche loro Magnogreci, un tempo:
e ora come erano decaduti, come erano arrivati
a vivere e a parlare come i barbari,
sradicati (ahiloro !) dalla grecità.

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