ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ

ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ
Και στα Κελλιά με χρώματα άσπρα και ήλιο μεθούν

martedì 18 luglio 2017

Berlino abile nel far valere la sua potenza economica ai tavoli intergovernativi ma, quanto a costruzione del futuro europeo, incapace di una visione sovranazionale. Il caso della Grecia continua a essere un utile termometro per misurare lo stato di salute dell’Unione europea.

Il termometro greco

Il caso della Grecia continua a essere un utile termometro per misurare lo stato di salute dell’Unione europea. In particolare, per capire meglio le dinamiche degli interessi (non sempre palesi) che si incrociano nei meccanismi decisionali. Tre novità recenti offrono spunti importanti. La prima nasce da un’iniziativa della Commissione di Bruxelles che ha proposto al Consiglio dei governi di chiudere la procedura d’infrazione contro Atene per deficit eccessivo. Mossa che si basa su un dato di fatto: con la cura da cavallo che le è stata imposta, la Grecia è passata da uno squilibrio del 15,1 per cento nel 2009 a un attivo dello 0,7 nel 2016. Cadono, dunque, i presupposti contabili per insistere nel tenere il governo Tsipras sul banco degli imputati.
Cosa decideranno i capi di Stato e di governo cui spetta la scelta finale? Al momento, la richiesta della Commissione ha avuto accoglienze molto caute. Tutti sanno che i guai greci sono lungi dall’essere superati. Atene ha sulle spalle un debito prossimo al 180 per cento del Pil: se non si mette in campo una ristrutturazione di questo onere, l’obiettivo del salvataggio finale resta lontano. Il Fondo monetario chiede da tempo di agire in tal senso, ma – su pressione tedesca – l’Europa fa orecchie da mercante. Si rischia così un singolare corto circuito: Atene potrebbe vedersi negare una giusta medaglia non perché non la meriti ma perché il consesso dei governi europei non vuole completare l’opera con il riassetto del debito e perciò ritiene che il governo greco debba essere tenuto sotto scacco.
Tanta severità sarà anche frutto della linea del rigore contabile cui Berlino si ispira, ma forse non c’è solo questo. Un’interrogazione dei Verdi tedeschi ha obbligato il Finanzminister Schäuble ad ammettere che i prestiti alla Grecia hanno fruttato finora al bilancio germanico utili per 1,34 miliardi di euro. Già i primi aiuti ad Atene erano serviti in larga misura a ripianare i crediti vantati colà da banche tedesche. Prende così corpo un dubbio imbarazzante: che si voglia tenere la Grecia sulla corda anche per continuare a lucrare robusti interessi.
Avvalora questo indizio di doppiezza la terza novità. I giorni scorsi Angela Merkel ha lanciato un allarme sui rischi di una crescente dipendenza della Grecia dalla Cina. In effetti, il timore della Kanzlerin non è infondato: Pechino ha già in mano una fondamentale risorsa di quel Paese come il porto del Pireo e si fa avanti con altre iniziative. Ma anche qui scatta un altro corto circuito logico: ad Atene è stato imposto dall’Ue un piano di vendite di beni per aggiustare in fretta i buchi del bilancio. Non c’è bisogno di scomodare il principio di Archimede per capire che tale azione avrebbe prodotto la reazione obbligata di vendere al miglior offerente sul mercato. Dirsi allarmati ora, a cose fatte, significa perciò riconoscere che non si sono valutate con la necessaria sagacia le conseguenze delle proprie decisioni.
Il termometro greco insinua così un ultimo e più grave dubbio. Che Berlino sia abile nel far valere la sua potenza economica ai tavoli intergovernativi ma, quanto a costruzione del futuro europeo, sia incapace di una visione sovranazionale. Gigante economico e nano politico come ai tempi del Muro?

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