ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ

ΤΑ ΚΕΛΛΙΑ ΤΗΣ ΤΗΝΟΥ
Και στα Κελλιά με χρώματα άσπρα και ήλιο μεθούν

lunedì 28 marzo 2016

La Turchia fa parte dell’Asia e non dell’Europa.

La Turchia non è Europa
“Mamma, li turchi…” gridavano gli abitanti delle zone rivierasche della Sicilia e dell’Italia meridionale quando – nel ’400 e’500 dello scorso millennio – le nostre coste erano sovente visitate dai pirati “barbareschi”. Era un grido di terrore, perché gli scorridori erano soliti abbandonarsi ad ogni bassezza: distruggevano, incendiavano, uccidevano, torturavano, violentavano e, alla fine, si portavano dietro i sopravvissuti, per venderli poi ai mercati degli schiavi di Algeri, di Tunisi, di Tripoli.
Naturalmente, i pirati non appartenevano ai ranghi ufficiali dell’Impero Ottomano. Erano – se così posso dire – dei “privati” provenienti dalle colonie turche del Nordafrica, che sbarcavano il lunario come meglio potevano. Fatto sta – comunque – che il fenomeno delle scorrerie “moresche” incominciò a scemare dal 1571, quando a Lepanto le navi della Lega Santa (formata dagli Stati preunitari italiani) infersero un colpo durissimo alla flotta da guerra ottomana. In forma attenuata, comunque, la cosa andò avanti ancòra per un bel pezzo, fino ai primi decenni dell’800, quando ebbe inizio il lento ritiro turco dall’Europa Orientale. E qui mi fermo, prima di essere trascinato nel gorgo delle rievocazioni storiche: dalle spedizioni anti-pirati del comandante trapanese Francesco Tedesco (1794), fino alla rivolta popolare di Palermo contro la missione di propaganda della flotta turca (1799).
Perché questa lunga premessa di carattere storico? Semplicemente per ricordare – nel momento in cui si celebra l’accordo “storico” per i migranti fra la Turchia e l’UE – che la Turchia non appartiene all’Europa, e che – anzi – è storicamente nemica dell’Europa. Con una sola parentesi: quella del governo illuminato del dittatore laico Kemal Atatürk, che voleva europeizzare la Turchia liberandola dal retaggio dell’islamismo. Morto Atatürk (1938), la Turchia ha iniziato a scivolare lentamente verso una restaurazione islamica, passo dopo passo, fino a raggiungere l’apice in questi ultimi anni con il governo del fondamentalista musulmano (ancorché “moderato”) Recep Erdoğan. 
In ogni caso – ricordo a chi ha dimenticato la storia – basterebbe una ripassatina di geografia: uno sguardo ad una qualunque carta geografica mostrerà agli immemori che la Turchia fa parte dell’Asia e non dell’Europa. Vero è che occupa ancòra un lembo di territorio europeo (Costantinopoli e un pezzettino di Tracia orientale) ma, con ogni evidenza, ciò è soltanto il rimasuglio di un Risorgimento balcanico non portato alle sue ultime e logiche conclusioni. 
Veniamo, dunque, all’accordo “storico”. Cosa prevede? Innanzitutto, una barca di quattrini: 3 miliardi di euro sùbito, più altri 3 in arrivo, che l’Unione verserà al governo di Ankara nel presupposto che le somme vengano utilizzate per assistere i profughi. Ma allora – mi permetto di obiettare – invece di riempire di soldi il dispotico governo di Erdoğan, perché non versare la somma all’organizzazione dell’ONU che assiste profughi e rifugiati (l’UNHCR) in tutto il mondo?
Andiamo avanti. La Turchia si riprenderà un numero X di immigrati irregolari sbarcati in Grecia. Ma – attenzione – per ogni immigrato irregolare espulso dal territorio europeo, l’UE sarà obbligata ad accogliere un immigrato che, agli occhi del governo turco, sarà considerato regolare. Quindi, l’accordo “storico” non toglierebbe un solo immigrato dal territorio europeo. Solamente un avvicendamento, alla pari.
Ma questo sarebbe già un risultato eccezionale, perché il medesimo accordo – sempre più “storico” – prevede l’abolizione dei visti per i cittadini turchi che vogliano “viaggiare” nell’Unione Europea. Tradotto dall’ipocrisia del linguaggio diplomatico, ciò significa il completo spalancamento delle frontiere europee ai migranti turchi, che dal prossimo 30 giugno potranno invadere legalmente l’Europa, da perfetti “regolari”. Quanti abitanti ha la Turchia? Circa 80 milioni. Senza contare i “turcofoni”, cioè coloro che parlano una lingua di ceppo turco pur abitando in uno Stato diverso, e che possono richiedere un passaporto turco: lo ha deciso Erdoğan, per motivi che sarebbe difficile sintetizzare in poche righe. Quindi, per “permutare” poche migliaia di profughi accampati fra un confine e l’altro dei Balcani, apriremo le porte a 80 milioni di turchi, più gli eventuali turcofoni. Bell’affare davvero.
Ma non è finita qui, perché lo storicissimo accordo prevede anche (punto 8° del trattato) che venga rilanciato il “processo di adesione” della Turchia all’Unione Europea. Siamo alla follìa. Perché, allora, non portare in Europa anche il Califfato? Si farebbe prima, e si eviterebbero anche tante piccole ipocrisie.
Non c’è che dire. Si tratta di un evento storico: mezzo millennio dopo la Battaglia di Lepanto, la Turchia ha sconfitto l’Europa intera. E senza sparare un solo colpo di cannone. 

Michele Rallo

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